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Intervista a Giovanna Brambilla, esperta in educazione al patrimonio culturale, progettazione territoriale e welfare culturale

L’arte di comunicare l’arte, nell’era digitale

Parte 2

Qual è il ruolo della comunicazione digitale nella mediazione culturale? Pensa che social media, podcast e altre piattaforme possano aiutare a rendere il patrimonio più accessibile?

La comunicazione digitale è molto importante, ma non si può dare per scontato che tutto quanto vi venga immesso raggiunga tutti.
Si è ad esempio sperimentato che uno dei migliori canali di comunicazione per raggiungere e coinvolgere i non pubblici sia WhatsApp, e non le newsletter o le mailing list.

Anche la comunicazione richiede quindi un’alta professionalità, che coniughi con sapienza da un lato ciò che devi comunicare, dall’altro i possibili destinatari.

Alcuni musei hanno semplicemente trasferito in digitale testi nati per la lettura su cartaceo, commettendo uno scivolone.
Pochi musei hanno siti adeguati agli standard di accessibilità comunicativa, non per niente la Scuola Nazionale Patrimonio e Attività Culturali ha messo a disposizione un webinar gratuito su musei e digitale per supportare le istituzioni, ma ad oggi la maggior parte dei siti e dei canali social dei musei sono non accessibili.

Chi, meglio di Giovanna Brambilla, Storica dell’arte, esperta in educazione al patrimonio culturale, progettazione territoriale e welfare culturale, socia di ICOM-International Council of Museum e membro della Knowledge Community di CCW-Cultural Welfare Center di Torino, potrebbe raccontarci come gli strumenti digitali stanno migliorando – o dovrebbero migliorare – la mediazione culturale di oggi e del prossimo futuro? 

Buona lettura, con la seconda parte della nostra intervista a Giovanna Brembilla!

Si postano contenuti, ma raramente c’è il tempo per una valutazione d’impatto e non tutte le istituzioni hanno risorse per seguire ciò che viene postato da chi accede alle proposte culturali.

 

La contemporaneità, infatti, ha fatto sì che chi visita un luogo si senta incoraggiato – e dotato degli strumenti necessari – a fare una recensione. Sono un’infinità di commenti che sarebbe prezioso riuscire a intercettare perché ci direbbero molto su come si è percepiti. Postare significa mettere “in rete”, e le istituzioni che saranno in grado di porsi in dialogo con i commenti avranno una marcia in più. Rispetto alle comunicazioni istituzionali, infatti, hanno grande importanza le voci fuori dal coro, ma pur sempre nel coro: influencer organizzati, su TikTok, ma anche su Instagram, persone appassionate con un buon seguito che condividono le esperienze e incoraggiano alla visita.

 

Analogo discorso va fatto per Instagram: dove la comunicazione funziona, a volte con risultati geniali, significa che c’è un ottimo team dei musei che unisce curatori, content editor e grafici, e l’invito è a guardare queste comunicazioni con consapevolezza: ai post troppo lunghi si affiancano quelli irreali, che colpiscono per i meme o le soluzioni molto fantasiose ma che, a uno sguardo approfondito, non hanno messaggi precisi da trasmettere e si perdono sulla superficie dell’impatto.

 

Anche i podcast sono molto diffusi e spesso hanno canali di diffusione in grado di scavalcare l’appartenenza alla categoria di appassionati d’arte, come la serie podcast con la voce di Serena Dandini realizzata per la Direzione Musei del Ministero della Cultura, che racconta la storia di otto donne che hanno vissuto, e lottato, per l’arte e per la cultura, seguito e amato nei contesti più diversi.

Quali saranno, secondo Lei, le nuove frontiere dell’accessibilità e dell’inclusione nel settore culturale nei prossimi anni?

Credo che molto del futuro dipenda da chi riveste le posizioni apicali nel governo, nelle istituzioni, nei decision maker e negli stakeholder.
Molte iniziative partono dal basso, ma per mettere a sistema un pensiero forte sull’accessibilità a 360° serve diffondere una visione che difenda il diritto di tutti di accedere alla cultura, il che implica, come controparte, il dovere di rendere questo diritto praticabile.

Sarebbe bello pensare a un investimento sulla cultura più ragionato e più diffuso, che operi in modo più capillare investendo a partire dai contesti territoriali, ponendo la relazione con il turismo come passo successivo, nella consapevolezza che lavorare sul luminoso concetto di “Comunità di eredità”, esplicitato dalla Convenzione di Faro, abbia poi degli impatti positivi non solo sull’ecosistema culturale, ma anche sul turismo.

Un’attenzione forte va agli Enti del Terzo Settore, che spesso hanno una capacità di visione forte ed esemplare, così come competenze specifiche per muoversi nei contesti di riferimento, e sono in molte occasioni interlocutori per le diverse governance territoriali.

Altro elemento che lentamente si diffonde e si innerva è il welfare culturale, ovvero l’insieme di tutte quelle iniziative che hanno la cultura come forza motrice, rivolte a portare benessere, contaminando e mettendo in dialogo il patrimonio culturale con il mondo della scuola, del carcere, della sanità, del sociale, smuovendo barriere interpretative e creando nuove connessioni, il che significa costruire accessibilità alla cultura partendo da contesti “altri” ma, allo stesso tempo, rendere chi opera nel campo della cultura aperto al confronto con realtà diverse e lontane dal proprio modo di pensare, con un approccio generativo.

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To be continued…

La prima parte dell’intervista è già disponibile, mentre la terza sarà presto online su Storyboard.
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La seconda parte dell’intervista è ora disponibile! Non perdertela.

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